Marinuzzi, inoltre, fu un fervido propugnatore dei contemporanei del suo tempo; tenne a battesimo numerose opere tra le quali ricordiamo: “Il principe Zilah” del suo amico di sempre Franco Alfano, “Dafni” di Giuseppe Mulè, “Lo straniero” (oltre alla già citata “Fedra”) di Ildebrando Pizzetti, “La rondine” di Giacomo Puccini, “Lucrezia” (postuma) di Ottorino Respighi, “Il Campiello” e “La vedova scaltra” di Ermanno Wolf-Ferrari ed altre ancora.
Nel 1918 figura l’opera “Jacquerie” su libretto di Donaudy che fu replicata più volte in Italia e all’estero: essa è ispirata alla rivolta dei Jacques nel secolo quattordicesimo e la musica s’impregna di forte intensità. Quest’opera, di cui andarono persi gli spartiti è stata in anni recenti riorchestrata da suo figlio Gino jr ed eseguita con grande successo nel Teatro Bellini di Catania. Di “Palla de’ Mozzi”, occorre ricordare come essa rivaluti efficacemente l’ormai trascurato concetto di melodramma, sempre grazie all’abilità ed alla spontaneità con cui Marinuzzi sapeva ricreare forme tradizionali a lui consuete.
Vanno infine ricordati due lavori degli ultimi anni di vita del Maestro: La “Sinfonia in la”, suo testamento di compositore, alla quale lavorò negli anni della seconda guerra mondiale ed il balletto “Pinocchio”, scritto in collaborazione con il figlio Gino jr., e da questi completato dopo la morte del padre.
Artista internazionale per scelta e vocazione, Gino Marinuzzi era tuttavia uomo dagli affetti profondamente radicati, dalla fede incrollabile nell’arte, nelle persone, nel gusto della vita. Il suo attaccamento alla famiglia rimane esemplare in questo senso. Sposato con Anna Sofia Amoroso, valente pianista conosciuta all’epoca dei suoi primi successi di compositore e con la quale Marinuzzi si dilettava sovente in trascinanti duetti pianistici, il grande direttore d’orchestra ne ebbe quattro figli, due dei quali periti in circostanze drammatiche. Il primogenito Antonio, nato a Palermo il 15 agosto 1910, morì a soli ventiquattro anni stroncato da broncopolmonite. La terzogenita, Anna Sofia Vittoria, detta Bebeina, nata il 17 giugno 1918, durante una tournèe sudamericana del padre, morì nel novembre dello stesso anno durante il viaggio di ritorno in Italia per un’enterite acuta. Questi due tragici eventi segnarono profondamente la vita di Gino Marinuzzi e una delle sue più commuoventi composizioni è senz’altro “Preludio e preghiera” per soprano e orchestra composto nel 1934 e dedicato al figlio scomparso.
Il successo professionale non intaccò la semplicità, condita da siciliana arguzia, dell’uomo Marinuzzi, il quale per tutta la vita predilesse la città di Sanremo con la quale aveva avuto in gioventù un impatto tutt’altro che positivo.
Fu l’amico Franco Alfano, che già da tempo si era rifugiato nella città dei fiori, a suggerirgli Sanremo per i suoi periodi di riposo e di svago. Nella sua casa, sulla collina della città, circondato dalla famiglia e dagli amici, coltivò progetti di animazione teatrale, di organizzazione musicale, di floricoltura.
Tra tanti viaggi, tra tanti contatti umani, tra nostalgie ed eterni entusiasmi, la casa di Sanremo fu per Gino Marinuzzi l’approdo sicuro di sempre e oggi, sotto quel cielo e quel sole che il Maestro Marinuzzi tanto amava, riposa in compagnia delle persone a lui infinitamente care.